Il pino silvestre

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Elena è una donna coraggiosa che non sa di esserlo: ha attraversato le fasi della malattia e la successiva guarigione (“temporanea guarigione”, correggerebbe bloccandomi con un gesto della mano) con l’alternarsi di pianto, paura, spavalderia e curiosità di una psiche colta e razionale travolta da emozioni non facili da controllare. Credo che venga da me da almeno dieci anni: per saperlo dovrei riaprire la cartella clinica, ma ci siamo appena salutate sulla soglia del mio studio al termine del controllo annuale. Undici o dodici anni dopo la chirurgia per il tumore al seno, eccoci qui: invecchiate entrambe, più inclini a chiacchierare senza formalismi. E, oggi, ancora ridiamo mentre si allontana verso l’uscita.

– Ah, per me può scriverlo nel suo Facebook o in uno dei libri: è successo proprio così.

-Tolgo il nome, è ovvio.

-Lo so: guardi che la seguo.

Da lei non me l’aspettavo: non so perché, ma ero convinta che ignorasse l’altra parte di me, l’anima di scrittura che mi compenetra esattamente come l’anima della medicina. Invece lo sa, e quando mi racconta del pino silvestre scorge nelle mie pupille la voglia di rilanciare l’ilarità, la suggestione leggera colta in uno studio dell’istituto oncologico.

-Ho capito che deve stare dietro a suo marito, ma ha bisogno di spazio. Tempo e spazio per se stessa.

-Me lo dice sempre, ha ragione. Prima o poi lo farò. Ma cosa suggerisce?

-Non posso dirlo, è lei a conoscere se stessa. Si ascolti. Non abita al mare? Si metta di fronte al mare e plachi i pensieri, li lasci andare. E ascolti se stessa. Si ponga la domanda diretta: cosa può fare per gratificarsi, per sostenere il suo benessere interiore e fisico?

Scuote la testa, non capisce come sia possibile ricevere una risposta: le spiego che i segni arrivano sempre e sono impressioni, visioni, incontri, odori, memorie, sogni, oggetti che si trovano lungo la via e si fanno notare in modo inspiegabile. Eccoli, i segni: la Voce interiore risponde e lo fa in modo abbastanza facile intuire. Poi tiro fuori uno dei miei classici:

-E comunque usi il movimento. Vada a ballare! Muova il corpo, balli!

Il suo silenzio mi stupisce: avrei detto che scoppiasse a ridere negando di essere capace. Invece abbassa la voce, come quando si confida un segreto a un’amica.

-Sa, dottoressa, sono stata a una scuola di ballo tre o quattro mesi fa. Con una mia collega.

-Ma dai, sul serio?

-Eh, altroché. Non fa per me, purtroppo.

-Cosa dice? E’ in formissima.

-Non è il fisico a tradirmi, è la gente.

Tace, apre la bocca due volte ma non riprende a parlare. Poi sghignazza.

-Sa, l’ultima volta che siamo andate a lezione un signore distinto si è avvicinato…

-Non faccio fatica a crederlo, è una donna molto attraente.

-Beh, insomma. Mi ha chiesto di ballare e a me andava bene, abbiamo ballato insieme per una mezz’ora e stavo iniziando a divertirmi. Poi…

-Poi?

-Mi ha lasciato la mano e io ho sentito un odore strano e una sensazione di unto, umidiccio.

Pausa. Cerca le parole.

-Mi sono nascosta in un angolo e ho provato a capire cosa fosse quell’odore. Si era unto tutta la mano con un gel di pino silvestre! Tipo il gel che si usa durante un’influenza, una roba densa e appiccicosa. Capisce? Non posso ballare e magari uscire con uno che sa di pino silvestre!

Quando smettiamo di ridere le dico che ne scriverò, annuisce.

-Faccia, pure, dottoressa. Magari salviamo qualche donna che ha in mente di iscriversi a quel corso di ballo.

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